1 ago 2016

Una Donna di Piante

Da che ricordo le piante mi sono sempre piaciute. Ho una foto che mi ritrae da piccola con le treccine biondo grano e le mani immerse in un cespuglio di Petunie a righe bianche e rosse (che fa molto anni '70, decennio in cui sono nata). Sono nata e cresciuta in una casa di periferia, con un giardino un po' incasinato da una cozzaglia di piante messe giù senza molta logica da mio padre in varie epoche e cresciute in maniera anarchica. Il tutto era dominato da una roverella enorme e vetusta, che, ahime! ora è morta e sotto la quale, in estate, si cenava. Da piccola volevo fare la fioraia, perchè mi piaceva entrare nel chiosco di fiori con mia madre e ammirare i colori, le forme, i profumi. All'epoca erano di moda i garofani, i gladioli, gli astri, le gerbere, ovviamente le rose, l'immancabile statice, le fresie, gli agapanti e le calle. Il tutto condito con "la verdura" (per i non addetti ai lavori le fronde verdi) che potevano essere asparagina, Ruscus racemosus o l'elegante Gypsophyla. Diversi anni più tardi avrei anche realizzato il mio sogno infantile, dato che ho lavorato per un paio di estati nei chioschi di fioraio dove andavo da piccola.

Il giardino è stato il luogo dei giochi, insieme ai vicini di casa, ai gatti, ai cani e ad una serie di piante che ora farebbero inorridire gli addetti ai lavori, considerando che ci giocavano dei bambini: era pieno zeppo di Yucca gloriosa, Agave americana, Oleandri velenosissimi, rose, tutte rigorosamente con spine enormi che ci bucavano il pallone.

Forse i nostri genitori erano semplicemente incoscienti, ma non si preoccupavano minimamente di questo. Forse ognuno di noi aveva un provvidenziale angelo custode... Sta di fatto che sia io che i miei vicini siamo ancora tutti vivi e in buona salute. Nessun suicidio sulle spine di agave, nessuno che abbia ingoiato oleandri.. ce la siamo cavata con qualche bucatura, molte sbucciature sulle ginocchia, sonori rimproveri ogni volta che il pallone rompeva i fiori nelle aiuole, divieto assoluto di danneggiare le piante con i nostri giochi.

Il mondo della botanica ha continuato ad affascinarmi negli anni successivi, tanto da farmi optare per l'Istituto Tecnico Agrario, che a quei tempi veniva considerato, se non "per soli uomini" prevalentemente maschile. Villa Caprile, sede dell'Istituto, ha un bellissimo giardino all'italiana, le cui cure erano affidate agli studenti della scuola.  Dall'Istituto Agrario alla Facoltà di Scienze Forestali il passo è breve. 
Mi sono trasferita a Firenze nel ’92 per quello che è stato uno dei periodi più belli della mia vita. La botanica non ha smesso di interessarmi, tutt’altro. Il mondo si è ulteriormente aperto con lo studio di discipline ad essa legate, che tentano di trovare un filo logico in un mondo assolutamente perfetto, la cui logica non è alla portata dell’essere umano, per quanto ci si possa sforzare nel comprenderla. E dato che la dottrina forestale ha le sue origini in Nord-Europa, al termine degli studi decido di andare a lavorare per un anno in Germania, prima in mezzo alle Alpi bavaresi, poi nella Valle del Reno. Due ambienti diversi, ma lo stesso rispetto per la Natura tipico del mondo nordico, dove città e verde, paesi e boschi si compenetrano e convivono in maniera simbiotica, tanto da farmi pensare, per più di una volta, di non tornare in Italia, ma di continuare a vivere lì. Sono tornata in Italia per un Dottorato di ricerca, al termine del quale ho deciso di intraprendere la carriera nel mondo del vivaismo, dei giardini e delle piante ornamentali. Sono piuttosto razionale per natura, e relativamente poco creativa. Non sarò mai una progettista di giardini. Li ammiro, mi piace osservarli, goderli, ma ancora di più mi piace studiare le specie con le quali sono stati realizzati, l’architettura degli alberi, le tessiture, le geometrie delle foglie, le fioriture, le esigenze delle piante che li formano.
Mi piace l’idea di far crescere un essere vivente che servirà per fare più bello un angolo di mondo. Mi piace sperimentare nuove specie, osservarle nei loro habitat e in quelli di introduzione. Mi piace dare un nome alle piante che vedo, impresa assai ardua, dato che il mondo delle piante è sconfinato e molto più antico di quello delle persone. C’erano molto prima di noi e sicuramente ci saranno anche molto dopo di noi. Mi piace camminare in un bosco e vedere gli alberi in tutta la loro grandezza, osservare la flora spontanea, studiare gli infiniti sistemi di adattamento delle piante ad ambienti anche completamente ostili. Di un paesaggio, qualunque esso sia, la prima cosa che istintivamente metto a fuoco, sono le piante, che lo faccia per lavoro o per diletto. Ho scelto di chiamarmi Donna di Piante perchè è un nome nel quale mi identifico pienamente. Le piante, consciamente o inconsciamente, mi hanno accompagnato e continuano ad accompagnarmi per tutta la vita. 


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